LOXOSCELISMO
Dott. Luciano Schiazza
Specialista in Dermatologia e Venereologia
Specialista in Leprologia e Dermatologia Tropicale
c/o InMedica - Centro Medico Polispecialistico
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Le punture di ragno non sono una rarità ma spesso si risolvono piuttosto rapidamente senza esiti. Infatti nelle abitazioni sono presenti molte decine di specie di ragni, quasi tutti inoffensivi e innocui per l'uomo.
Soltanto poche specie possono avere un interesse medico: si tratta di quei ragni sinantropici (dal greco sinánthropos, parola composta di syn 'con, insieme' e ánthropos ‘uomo’; animale sinantropico: animale che vive nello stesso ambiente occupato dall'uomo) che, nel caso in cui mordano accidentalmente l'uomo, possono inoculare un veleno ad azione necrotica/emolitica i cui effetti locali e/o sistemici possono essere gravi.
In particolare prenderemo in considerazione i ragni appartenenti al genere Lexosceles (variamente conosciuto anche, nella lingua anglofona, come brown spider, brown recluse, fiddleback, or gaucho spiders).
Prima di addentrarci nella descrizione di questa specie è bene ricordare un’altra specie, di interesse medico, presente in Italia: il Cheiracanthium punctorium.
Il Cheiracanthium punctorium è un ragno (può raggiungere i 15 mm), di colore giallastro caratterizzato da una fascia longitudinale più scura sul dorso dell'addome. Presenta cheliceri ben sviluppati che lo rendono minaccioso quando li divarica al minimo accenno di disturbo. Questa specie è diffusa in tutta la penisola e vive nell'alto strato erbaceo anche di orti e giardini.
La presenza della femmina è evidente nel periodo estivo-autunnale, allorchè costruisce un nido voluminoso e vistoso unendo lembi fogliari con il secreto delle filiere.
L'accidentale morsicatura all'uomo da parte di C. punctorium può avvenire pulendo verdura o recidendo fiori o sedendosi su panchine in giardino. provoca intenso e persistente dolore, gonfiore e perdita di sensibilità della zona colpita, ma a volte anche fenomeni sistemici come nausea, febbre e malessere generale.
Possono comparire inoltre fenomeni di necrosi locale anche persistenti.
Riguardo al Loxosceles, sono numerose le specie appartenenti a questo genere (circa 100), avendo in comune il nome di ragni violino, per la caratteristica macchia scura sul carapace (sul dorso del cefalotorace) a forma di un violino. Talvolta però questo “violino” è assente o sostituito da macchie scure sulla superficie dorsale del corpo. Una più utile caratteristica è quella relative agli occhi: sono 3 paia non adiacenti disposte a forma di U sul dorso.
In Italia abbiamo un ragno violino, ma ancora poco conosciuto: il Loxosceles rufescens.
E’ un ragno originario dei paesi mediterranei, diffuso in tutto il territorio italiano.
Appartiene alla famiglia Sicariidae (dal latino sicarium, sicario, assassino per la tossicità del suo veleno), ordine Araneae, Classe Arachnida. Il nome lexoscele deriva dalla posizione che assumono le zampe a riposo “slanting legs”).
I loxosceles hanno misure variabili tra i 6 e 20 mm (¼ in and ¾ in), Nella femmina il corpo misura mediamente 8-11mm (con le zampe circa 2-2,5cm) ma le dimensioni tra un esemplare e l'altro sono assai variabili. Il maschio è generalmente più piccolo (7-8mm), ma ha le zampe più lunghe ed esili e l’addome meno pronunciato; il maschio si distingue dalla femmina anche per l'evidente presenza di pedipalpi grandi.
Il cefalotorace del Loxosceles rufescens è più lungo che largo, appiattito, di colore rosso-bruno e presenta una macchia più scura a forma di violino o violoncello da cui deriva anche il nome comune statunitense "fiddle head spider". Possiede sei occhi, raggruppati in tre coppie di due e disposti lungo una linea ricurva. L’addome è di forma ovoidale e di colore rosso-marrone uniforme, senza alcun disegno. Ha zampe esili e molto lunghe, prive di anellatura, bruno-rossiccie come il cefalotorace, con pelosità aderente e due unghie tarsali.
In natura vive sotto rocce, ceppi d'albero, nei cunicoli creati da altri animali e nelle crepe nei muri. Ma è la sua progressiva sinantropizzazione a renderlo facilmente osservabile nelle abitazioni, favorito dal clima mite degli ambienti. Ama i luoghi poco illuminati e riparati, sia all’interno che all’esterno delle abitazioni, dove tende a formare popolazioni numerose. Lo si rinviene sotto le tegole, nei solai, attici, abbaini, soffitte, seminterrati, cantine, sgabuzzini, angoli bui poco frequentati e di difficile accesso (per questo è anche soprannominato ragno eremita), negli armadi a muro, dietro i mobili, nelle credenze e comunque in quelle piccole cavità dove può stringersi, nelle scatole di cartone.
Lo si può ritrovare anche negli edifici annessi, quali granai, stalle o fienili, capannoni agricoli, garages, nelle baracche, nelle scuderie. Nelle abitazioni poi cerca rifugio tra calzature, abiti e lenzuola, entro casse e bauli, dietro i mobili.
Ha notevoli capacità di adattamento a condizioni avverse: sopravvive per mesi senza acqua e cibo e resiste a temperature che variano tra gli 8°C ed i 43°C. E’ un ragno sedentario con attività notturna. Come la maggior parte dei ragni, non è aggressivo ed anche se molto infastidito tenta raramente di mordere; preferisce di gran lunga la fuga ed essendo un ragno esile, agile e molto veloce, trova spesso un' intercapedine in cui rifugiarsi in caso di aggressione.
La puntura avviene quando il ragno è schiacciato sulla pelle, tipicamente durante il sonno rigirandosi nel letto oppure indossando abiti o scarpe scelti dal ragno come rifugio. Nelle zone particolarmente infestate occorre scuotere i vestiti e le scarpe prime di indossarli. Anche gli indumenti per il giardinaggio o le attrezzature per lo sport vanno accuratamente ispezionate o riposte in luoghi protetti dai ragni.
L'accidentale morsicatura all'uomo di L. rufescens può avvenire anche spostando pietre.
Se il ragno viene disturbato, maneggiato o calpestato a piedi nudi è in grado di infliggere morsi che possono avere conseguenze significative.
Il veleno non è paragonabile a quello di alcune specie del Sud America (L. reclusa, L. laeta) ma ha un’azione necrotica/emolitica (aracnidismo necrotico) che causa edemi, necrosi e ulcerazioni profonde delle parti colpite dal morso (loxoscelismo cutaneo) che guariscono molto lentamente. Si associano generalmente a febbre, malessere e ad una eruzione generalizzata, pruriginosa di tipo morbilliforme o scarlattiniforme che appare nelle prime 24-48 ore dalla puntura. Questi segni aspecifici, benché non presenti in tutti i pazienti, possono aiutare a formulare diagnosi di loxoscelismo.
Vi può essere anche un interessamento sistemico (forma viscerocutanea) molto meno comune in quanto i sintomi indotti dalla morsicatura del L. rufescens sono relativamente miti (dolore locale, lesione bollosa, necrosi non grave con escara, febbre, debolezza, dolori articolari e muscolari, linfoadenopatia, agitazione, insonnia, irrequietezza, faringite e rash cutaneo generalizzato morbilliforme o scarlattiniforme. Raramente iscurimento delle urine o ematuria). Il quadro quindi generalmente è lieve ed autolimitante e può avere un decorso indipendente dalla reazione locale. Alla base di questo tipo di reazione potrebbero esservi fattori legati al ragno quali il sesso, le variazioni genetiche e la specie; accanto a queste alcune caratteristiche del paziente quali l’età e variazioni genetiche.
Si ritiene comunque che i segni sistemici compaiono in assenza di manifestazioni necrotiche: il veleno entrerebbe in circolazione mentre nelle lesioni cutanee necrotiche si localizzerebbe solo alla cute.
I casi gravi da Loxoscelismo (L. reclusa, L. laeta) sono caratterizzati dall’instaurarsi di insufficienza renale causata dai depositi di emoglobina secondari all’emolisi modificazione urinarie che tendono a manifestarsi nelle 24 ore successive alla morsicatura e spesso si accompagnano ad improvviso rialzo febbrile, ittero, cianosi, dispnea, anuria con possibile esito mortale per insufficienza renale acuta e coagulazione intravasale disseminata dovuta all’emolisi intravascolare.
Come già accennato, con particolare riguardo si può instaurare insufficienza renale a causa dei depositi di emoglobina secondaria all'emolisi. Le urine possono diventare più scure o marroni e il paziente diventare oligurico , anurico o mostrare una insufficienza renale acuta simile a quella causata dal veleno del serpente Crotalo, sebbene la causa i quest'ultimo caso sia la mioglobinuria (mioglobina, proteina presente nei muscoli, nelle urine) e non l'emoglobinuria (emoglobina nelle urine).
Un dato importante da sottolineare è che la puntura del ragno può non essere avvertita oppure lo è con una sensazione simile ad una leggera bruciatura. Il dolore, che varia da lieve a severo, inizio dopo 2-8 ore.
I sintomi tipici della morsicatura da loxoscele seguono un decorso caratteristico. Iniziano dopo 2-6 ore dalla morsicatura. Dopo alcune ore nella sede della morsicatura, compare una placca edematosa con vescicole ed ecchimosi. Nel giro delle successive 12-24 ore compare una bolla rossastra circondata da un’area bluastra con un sottile anello biancastro tra il rosso ed il blu (aspetto “a occhio di bue”).
Nelle 12-24 ore successive la parte centrale diventa bluastra/blu-violetto alla quale segue la formazione di tessuto necrotico (escara). Se nelle 48-96 ore successive alla morsicatura non vi è questa variazione di colore, l’escara non si svilupperà.
Alla caduta dell’escara appare un’ulcera che guarisce in un lungo arco di tempo (6-8 settimane) e che talora richiede un innesto cutaneo.
Una caratteristica dell’avvelenamento da Loxosceles, oltre all’aspetto a occhio di bue, è il cosiddetto “segno del rosso, bianco e blu” (eritema, ischemia, necrosi), da non confondersi con le eruzioni generalizzate morbilliformi causate dagli effetti sistemici del veleno. Tale segno è più evidente quando il morso si localizza alle estremità, al tronco o alle natiche.
Questo segno (cosiddetta “placca marmorea”) generalmente si manifesta dopo 24/72 ore dal morso del ragno. Durante i primi giorni infatti la lesione può assumere un aspetto a occhio di bue: blu al centro (trombosi centrale che porta alla necrosi) circondato da un anello bianco (da vasocostrizione) circondato a sua volta da un anello rosso di tessuto eritematoso.
Altra caratteristica del morso del L. rufescens è l’ asimmetria dell’eritema rispetto alla zona di puntura, rara nelle punture di altri artropodi (che invece determinano una lesione papulosa orticarioide centrata rispetto alla puntura oppure un anello eritematoso a crescita periferica) e la tendenza del veleno a subire l’effetto della gravità e quindi ad estendersi verso il basso (eritema gravitazionale-dipendente). La direzione di questa evoluzione è naturalmente in relazione alla posizione della vittima, se eretta oppure coricata.
Il meccanismo dell’avvelenamento da Lexosceles è complesso: agisce attraverso meccanismi multipli e vari mediatori, sia direttamente sia attraverso un meccanismo autoimmune (linfociti e citochine). Il veleno infatti è composto da proteine complesse a basso peso molecolare ed enzimi proteolitici (idrolasi, jaluronidasi, lipasi, esterasi, peptidasi, collagenasi, fosfatasi alcalina, 5-ribonucleotidasi, fosfoidrolasi, proteasi).
L’enzima più importante è però la sfingomielinasi D, responsabile non solo delle lesioni necrotiche ma anche della emolisi (dal greco haimo-, sangue e lysis, sciogliere ossia distruzione dei globuli rossi) intravascolare (all’interno dei vasi sanguigni). Essa è temperatura-dipendente (da cui l’uso di impacchi freddi).
Essa attiva il complemento (complesso di proteine dotate di varia attività biologica), attrae i polimorfonucleati (PMN, globuli bianchi con funzioni di difesa dell’organismo), induce l’aggregazione piastrinica, libera enzimi proteolitici (degradano le proteine) e stimola il rilascio di citochine (molecole proteiche in grado di modificare il comportamento di altre cellule) e chemiochine (proteine in grado di richiamare cellule del sistema immunitario). Questi mediatori amplificano la risposta infiammatoria responsabile della reazione locale e sistemica al veleno.
Le tossine sono le medesime sia nel Lexosceles maschio sia nella femmina, ma in quest’ultima la concentrazione del volume è doppia.
Il ragno non inietta sempre la stessa quantità di veleno, probabilmente in relazione al tipo di vittima. E’ plausibile quindi che i ragni abbiano la capacità di iniettare varie quantità di veleno come risposta difensiva variando di conseguenza la gravità del danno.
Un ulteriore cofattore nell’indurre il danno tessutale è l’infezione secondaria.
Un ulteriore cofattore sinergico per il danno tessutale può essere rappresentato dall’infezione secondaria (Clostridium perfrigens).
Nelle lesioni dermonecrotiche il veleno causa una immediata vasocostrizione nella zona di puntura. Entro tre ore i leucociti PMN infiltrano la zona di avvelenamento. Dopo 6 ore inizia l’edema a livello dermico. Il prurito si manifesta unitamente all’infiammazione ed alla ischemia (locale e temporanea carenza di afflusso di sangue dovuta all’ostruzione) nella sede di puntura che diventa dolorosa e sensibile al tatto.
La diagnosi, in mancanza dell’identificazione del ragno, si basa su
- epidemiologia (presenza del ragno loxosceles nell’area)
- anamnesi (puntura di ragno, comparsa al mattino e decorso della manifestazione cutanea,)
- segni clinici (oltre alla manifestazione cutanea - placca solitaria progressivamente dolorosa con una parte centrale necrotico ischemica circondata da intenso eritema - ed ai due segni della morsicatura, manifestazioni aspecifiche quali febbre, mal di testa e una eruzione generalizzata, pruriginosa di tipo morbilliforme o scarlattiniforme che appare nelle prime 24-48 ore dalla puntura)
- esclusione di altre cause (vedi diagnosi differenziale)
Difficilmente è basata sull’identificazione del ragno: la puntura avviene spesso di notte o al momento di vestirsi e all’inizio è poco o nulla dolorosa e avvertita come un transitorio pizzicore. Può perciò essere scoperta o dai due segni del morso del ragno oppure al momento della comparsa della lesione.
La diagnosi perciò è spesso solamente presuntiva e si basa solamente sui segni clinici ed i sintomi.
Nella diagnostica differenziale occorre considerare altre cause:
Batteri
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infezioni da Stafilococco aureo meticillino resistestente (MRSA)
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Infezioni streptococciche
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Artrite/dermatite da Gonococco
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Antrace cutaneo
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Micobatterio ulcerans
Farmaci
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Warfarin
Virus
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Infezione da herpes simplex
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Herpes zoster
Artropodi
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Malattia di Lyme
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Febbre delle montagne rocciose
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Puntura da Ornithodoros coriaceus
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Punture di insetti
Funghi
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Sporotricosi
Da contatto
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Edera del Canada
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Rovere velenosa
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Bruciatura chimica
Malattie linfoprofliferative
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Papulosi linfomatoide
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Linfoma
Da malattia sistemica
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Ulcera diabetica,
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Epatopatia cronica (fascite necrotizzante spontanea)
Di origine vascolare
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Vasculite focale
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Porpora fulminante
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Fenomeno tromboembolico
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Poliarterite nodosa
Miscellanea
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Pioderma gangrenoso
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Ulcera da pressione
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Sindrome di Stevens-Johnson
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Eritema multiforme
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Eritema nodoso
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Necrolisi epidermica tossica
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Sindrome di Lyell
Il trattamento del loxoscelismo è controverso.
Una comune raccomandazione per le forme non necrotiche è l’acronimo RICE (rest, ice, compression, elevation, ossia riposo, ghiaccio o meglio impacchi freddi da continuarsi sino a che non è terminato il processo necrotico, compressione e mantenere sollevata la parte colpita, in caso degli arti). Dibattuta è l’efficacia di farmaci e dell’antiveleno nel trattamento del lexoscelismo.
Riguardo all’antiveleno in alcuni paesi viene somministrato routinariamente prima ancora che la necrosi si sviluppi. Tuttavia il decorso non può essere fermato e quanto sia diverso da quello senza antiveleno è difficile da dirsi.
Farmaci antiinfiammatori quali il dapsone ed i corticosteroidi vengono utilizzati, con risultati contrastanti, nel tentativo di ridurre l’estensione della necrosi.
Il razionale nell’uso del dapsone sarebbe legato alla sua attività nei confronti dei PMN (limita la migrazione e l’infiltrazione della zona di morsicatura da parte dei neutrofili, fattore essenziale nello sviluppo delle lesioni necrotiche).
L’uso di antibiotici si riserverebbe a situazioni di reale infezione e non a scopo profilattico.
Le biotecnologie potrebbero rivelarsi utili nell’affrontare tale forma di aracnidismo.