PROCESSIONARIA
Dott. Luciano Schiazza
Specialista in Dermatologia e Venereologia
Specialista in Leprologia e Dermatologia Tropicale
c/o InMedica - Centro Medico Polispecialistico
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16121 Genova
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La primavera è alle porte e il desiderio di “rituffarsi” nella natura è grande. Passeggiare in un bosco lussureggiante è invitante per quelle sensazioni che l’intimo contatto con la natura sa ridestare e che la vita convulsa e caotica della città spesso ci fanno dimenticare.
Purtroppo però qualche volta insetti e ragnetti rovinano l’aspetto bucolico della gita provocando sulla pelle quelle punture pruriginose che tanto infastidiscono.
Se poi il bosco è fatto di conifere, ci può essere un ospite col quale è meglio non venire a contatto: la processionaria dei pini detta anche “bruco del pino” o “caterpillar” dagli anglosassoni.
Che cos’è
E’ un insetto lepidottero (Traumatocampa pityocampa), una farfalla le cui larve si sviluppano sul pino nero (Pinus nigra), sul pino silvestre (Pinus silvestris), sul pino marittimo (Pinus pinaster) sul pino d’aleppo (Pinus halepensis), su varie specie di cedro (Cedrus) e occasionalmente anche sul larice (Larix).
Le larve (bruchi) si nutrono delle foglie (gli aghi): è quindi un defogliatore e come tale può provocare danni significativi sino al disseccamento delle piante in quanto la riduzione della superficie fotosintetizzante le indebolisce e le rende maggiormente soggette ad ulteriori attacchi di altri parassiti (es. scolitidi, pisside, ecc.). Le piante più colpite sono quelle situate nei versanti soleggiati e nelle zone perimetrali dei boschi.
La farfalla, di colore grigiastro, dal corpo tozzo e peloso, con apertura alare dai 30 ai 45 mm,, depone le uova alla fine dell’estate sulle chiome degli alberi, formando dei tipici manicotti a spirale attorno ad una coppia di aghi.
Ogni femmina depone circa 300 uova e l’incubazione dura dai 26 ai 40 giorni. Durante la crescita le larve emettono un filo sericeo (simile alla seta) con il quale costruiscono e allargano il nido in cui vivono. Questi nidi, di dimensioni notevoli, sono sferoidali, a pera, di colore bianco-grigiastro o argenteo e sono posti all’estremità dei rami più soleggiati.
Le larve, dopo aver raggiunto l’ultima (la quinta) fase di crescita, abbandonano i nidi e scendono a terra lungo i tronchi “in processione” (da qui il nome “processionaria”), l’una attaccata all’altra.
Raggiunto il suolo si interrano (ad una profondità di 5-20 cm) per trasformarsi prima in crisalidi e poi, quando le condizioni ambientali sono idonee, in farfalle adulte.
Gli adulti sfarfallano dal terreno tra le fine di giugno e l’inizio di agosto, di solito durante le ore notturne. Dopo l’accoppiamento, le femmine nell’arco di una notte raggiungono la chioma della pianta, depongono le uova e poi muoiono.
Quando è pericolosa la processionaria? Nello stadio larvale, per l’uomo e gli animali, cani in particolare.
Come si riconoscono le larve? Misurano circa 4 cm di lunghezza, sono ricoperte densamente di peli, sono di colore bruno con macchie rossastre e una fascia ventrale giallastra. In mancanza del riscontro diretto delle larve, un segno inequivocabile della loro presenza è l’osservazione dei nidi sericei, ben distinguibili sulle chiome delle conifere.
In che periodo dell’anno le troviamo? Dipende dalle condizioni climatiche: in genere le larve abbandonano le piante dall’inizio di marzo alla fine di aprile.
Perché sono pericolose? La loro pericolosità dipende dai loro peli e dai numerosissimi microscopici peli uncinati e urticanti. Questi ultimi sono dislocati in cavità estroflessibili dette “specchi urticanti”: in un solo specchio si possono trovare più di 100.00 peli urticanti i quali vengono liberati nell’aria quando l’animale è molestato.
I peli contengono sostanze proteiche ricche di istamina. Pertanto il contatto diretto con le larve o con i peli dispersi nell’ambiente, può determinare reazioni cutanee, alle mucose, agli occhi e alle vie respiratorie, specialmente in soggetti sensibili o in occasione di inalazioni massicce.
La dermatite, conosciuta con il nome di “erucismo”, è la forma più frequente ed è dovuta sia alla penetrazione dei peli nella cute sia all’effetto tossico-urticante del veleno. I segni cutanei sono rappresentati da arrossamento, edema, prurito e bruciore.
Clinicamente la dermatite si presenta come:
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orticaria papulosa, quando sono pochi i peli trasportati dal vento;
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orticaria con chiazze vescico-bollose, per l’azione dei peli portati dalle mani a contatto con varie zone corporee;
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chiazza pomfoide con vescicole e bolle, quando è il nido che staccatosi da un ramo colpisce la cute.
Ma, come abbiamo anticipato, non solo l’uomo può subire danni da questo insetto ma anche gli animali: il cane in particolare, con conseguenze talvolta particolarmente gravi.
Infatti il cane, nella sua innata curiosità, può prendere in bocca le larve. I peli, venendo a contatto con la lingua e la bocca, determinano una necrosi dei tessuti con perdita parziale della zona colpita o, in casi gravi, conseguenze tali da richiedere la soppressione dell’animale. Se poi i peli vengono ingeriti, ipotesi peraltro rara per l’intensa salivazione che la loro presenza comporta, la conseguenza è la morte dell’animale.
La terapia è in relazione alle manifestazioni cliniche. Il farmaco di elezione è il cortisone, da applicarsi localmente o da somministrarsi per via sistemica (orale o in fiale da iniettare), in relazione alla gravità del caso e sempre sotto controllo medico.
Per quanto riguarda la lotta alla processionaria, essa è regolamentata dal D.M. 17 Aprile 1998 (G.U. n.125 del 1 giugno 1998), emanato dal Ministero per le Politiche Agricole, obbligatoria su tutto il territorio nazionale. Peraltro tale obbligatorietà risaliva già a due precedenti Decreti Ministeriali (D.M. del 20 maggio 1926 e D.M. del 12 febbraio 1938).
La strategia di questa lotta si basa sulla conoscenza del ciclo biologico dell’insetto e delle sue interazioni con l’ecosistema.
Il controllo della processionaria si basa su:
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distruzione dei nidi,
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trattamento delle chiome delle piante con preparati microbiologici a base di Bacillus thurigensis var. kurstaki (BtK),
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trappole con attrattivi sessuali (feromoni).
La distruzione (asportazione e successiva bruciatura) dei nidi invernali si effettua tra ottobre e fine febbraio; altrettanto valida la lacerazione del nido che espone le larve al freddo invernale, consentendo di evitarne l’asportazione, soprattutto quando il nido è posto all’apice del fusto. Tale pratica trova efficace riscontro nei casi di sporadiche infestazioni su pochi esemplari.
Il trattamento delle chiome si esegue alla fine dell’estate (fine agosto, primi di settembre). Il BtK è un batterio sporigeno che agisce per ingestione. Dopo essere stato ingerito dalla larva del lepidottero, il BtK agisce sugli organi interni producendo un cristallo proteico: inizialmente vi è diminuzione dell’appetito poi la morte della larva, nel giro di 3-4 giorni. La soluzione contenente il BtK (100-150 grammi di prodotto diluiti in 100 litri d’acqua, sino a 300 grammi in 100 l. d’acqua per le larve più grosse) viene spruzzata sulle chiome in maniera uniforme (nelle ore crepuscolo-serali in quanto il bacillo è fotosensibile e mai quando è prevista pioggia per la facile dilavabilità della sospensione batterica). Il prodotto è innocuo, non tossico per l’uomo, gli animali e gli insetti utili in genere. Si presta quindi ad essere distribuito su vaste aree mediante velivoli.
I feromoni sono sostanze prodotte dalle femmine di molti insetti, fra cui la processionaria, in grado di attirare i maschi. Vengono utilizzate delle trappole contenenti la sostanza: sono fissate ai rami in posizione medio-alta e sul lato sud-ovest delle piante. Nei parchi e nei giardini pubblici si usano 6-8 trappole/ettaro, distanti 40-50 metri tra loro; nelle pinete si collocano ogni 100 metri lungo il perimetro e le strade di accesso. Le trappole debbono essere installate poco prima dello sfarfallamento degli adulti (a seconda delle condizioni ambientali, a partire dai primi-metà di giugno). L’uso dei feromoni, nella loro specificità e selettività, costituisce un esempio di lotta a basso impatto ambientale, ma si dimostra efficace nei casi di infestazione di bassa entità o limitata a poche piante.